Partiamo come sempre esplicitando le convinzioni di base: io penso che la scuola non sia il luogo di trasmissione di nozioni e saperi, ma che sia, accanto alla famiglia, il luogo dove persone esperte e competenti accompagnano i più piccoli e i più giovani in un percorso di crescita e di sviluppo, verso una sempre maggior conoscenza e consapevolezza critica di chi si è e di come è la realtà in cui viviamo. Per molti bambini e ragazzi è una possibilità, per altri meno fortunati è l’unica possibilità di incontrare persone capaci di riconoscerli e rispettarli, di aiutarli a crescere e svilupparsi in un clima di fiducia, dove si può sbagliare, cambiare, dove si impara a diventare persone capaci di vivere con gli altri nel rispetto reciproco. Per spiegarmi meglio faccio riferimento alle mie esperienze scolastiche, nello specifico medie e superiori. Le differenze che potrei riportare sono davvero tantissime, ma la principale è relativa a come mi sono sentita nei due contesti. Partiamo dalla bella esperienza: alle medie (per i giovani la secondaria di primo grado) mi sono sentita una persona capace di pensare e ragionare, rispettata e valorizzata indipendentemente dalle mie convinzioni, prestazioni e risultati ottenuti. Lì io e i miei compagni eravamo “semplicemente” delle persone e in quanto tali degni di ascolto e rispetto. Gli adulti erano lì per aiutarci a crescere; ci hanno accompagnato per un pezzo del nostro cammino facendoci da guida, attenti e consapevoli. Ci hanno offerto delle buone esperienze educative e quindi delle possibilità di crescita. Ho sentito tanta fiducia incondizionata e ho sperimentato la possibilità e la ricchezza del confronto con i compagni e con gli insegnati. E’ stato lì, più che in altri luoghi, che ho sentito il rispetto per me e per gli altri, non perché esplicitato a parole ma in quanto vissuto quotidianamente. Grazie di cuore a Giorgio e a tutti gli altri che mi hanno fatto vivere la scuola come un luogo dove si impara, si gioca, si cercano risposte, si scambiano opinioni, si collabora, si lavora in gruppo, dove tu sei importate ed è importante quello che pensi. Che dire invece delle superiori (sempre per i più giovani la secondaria di secondo grado). Il ricordo più forte si esprime con un’emozione: angoscia. Ho avuto come insegnanti delle persone preparatissime a livello di contenuti, ma assolutamente incapaci di insegnare. Persone convinte che il mondo si esaurisse nella conoscenza della loro materia. Non so se è capitato anche a voi di incontrare questo tipo individui (purtroppo sono un popolo molto numeroso che affolla le scuole e le università). Sono quelle che in modo esplicito o più velato, vi fanno sentire un emerito imbecille e nullità se non conoscete quella che per loro è l’unica cosa che valga la pena di conoscere: la loro bellissima materia. Quindi che cosa ho imparato da questi insegnanti? Che, se sei il prof. hai ragione, che le persone si giudicano in base a quello che dimostrano di sapere: più sai più vali. Ho sentito la forza della prepotenza e dell’umiliazione, ho capito che il valore di una persona dipende dalle prestazioni, ho capito che di come sei, di cosa pensi non gliene frega niente a nessuno. Mentre scrivo mi è salito un misto di rabbia e tanta ma tanta tristezza per questo sistema che allora, ma purtroppo ancora oggi, alimenta un mondo di angosce e sofferenze; dove non c’è sufficiente consapevolezza di quanta responsabilità si ha come insegnanti. Se penso a queste esperienze ho due immagini: la prima di un gruppo di bambini impegnati in diverse attività. Il clima è sereno, giocoso e di scoperta, due adulti si spostano nello spazio parlando con i bambini. Nella seconda c’è una classe con una serie di banchi messi in fila, le sedie sono occupate da anfore vuote e il professore spiega dalla cattedra la sua bella lezioncina. Come possiamo poi stupirci di quello che accade alle giovani generazioni? Come possiamo pretendere che, dopo quello che gli abbiamo insegnato (zero rispetto e cervello in panchina), sappiano poi rispettare gli altri e ragionare in modo autonomo? Quando la domanda è sempre stata: che cosa pensa tizio? E MAI: che cosa pensi tu? Mi spiego: conoscere le idee dei grandi del passato e del presente è fondamentale, sono lo stimolo, l’energia che ci alimenta, che ci fa crescere; ma perché il nostro pensiero si sviluppi e diventi un pensiero critico, oltre a conoscere dobbiamo fare pratica del ragionare e questo avviene tramite il confronto delle nostre idee con quelle degli altri, avviene cioè quando ci viene chiesto: ma tu cosa ne pensi? Una grandissima domanda che dobbiamo cominciare a fare da subito, da quando i bambini sono piccolissimi. Mi tocca dire, lo ripeto, con tanta tristezza, che per fortuna non c’è solo la scuola. Molti ragazzi hanno famiglia, amici che gli consentono di crescere bene nonostante la scuola. Per altri si aggiunge dramma al dramma. Prima di concludere voglio lasciare un pensiero a chi si occupa di educazione: ho visto moltissimi insegnanti carichi, vitali, con tanta voglia di fare, di cambiare, che hanno combattuto per lungo tempo per portare avanti un modo diverso di fare scuola, insegnanti che dopo lunghe battaglie solitarie, sono stati schiacciati dal grande mostro immobile ed immutabile. Un mostro complesso che raccoglie i colleghi ormai stanchi e demotivati, le lungaggini burocratiche, i cambiamenti sociali e culturali che coinvolgono le famiglie e le nuove generazioni (difficilissimi da comprendere e decifrare), e un sistema di formazione che fa acqua da tutte le parti. A questi insegnanti vorrei dire grazie e vorrei dire non arrendetevi, anche se a volte vi sembrerà che il vostro lavoro sia una gocciolina in mezzo al mare, sappiate che questa gocciolina per qualcuno farà la differenza.