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Pensieri ed emozioni: i bambini sentono

2024-11-20 09:26

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“Il bambino pensa non meno, non in maniera più povera, non peggio degli adulti, egli pensa in maniera diversa… Il bambino pensa con il sentimento non con l’intelletto. Per questo è così difficile comunicare con i bambini, per questo non c’è un’arte più difficile che parlare ai bambini. Ai bambini bisogna parlare con il cuore” (J. Korczak, Ascoltare la luce)


Ripartiamo dal solito concetto di base, cioè che noi nasciamo “sostanzialmente buoni” e che se facciamo azioni negative il motivo va ricercato nel fatto che, durate il processo di crescita, a causa del nostro sistema educativo, perdiamo dei pezzi per strada. Che è come dire che il nostro sistema educativo non ci consente di svilupparci così come è nella nostra natura, è un sistema che ostacola e devia la nostra crescita, ci porta lontano dalla nostra essenza. Questo può produrre in noi disagio (se ci va bene), sofferenza e dolore (se ci va peggio) ed è abbastanza comprovato che, quando non stiamo bene, possiamo arrivare a dare il peggio di noi. Questo sistema è inoltre la causa dei pregiudizi, dei fraintendimenti, delle difficoltà che a volte (spesso) caratterizzano le relazioni tra noi adulti e i bambini.


Dove nascono molti problemi e fraintendimenti quando cerchiamo di capire perché nostro figlio si comporta in un certo modo? Io penso che molto dipenda dal fatto che noi, come adulti, siamo molto spostati sul linguaggio verbale che esprime ciò che pensiamo, i bambini al contrario parlano con il linguaggio non verbale e parlano di ciò che sentono.


Quando un bambino nasce non sa parlare, non sa ancora usare le parole per comunicare, non esprime i suoi pensieri, comunica con noi esprimendo ciò che sente. Si può dire che la sua comunicazione è tutta centrata sulle emozioni. E che cosa possiamo dire di che cosa arriva ad un neonato della nostra comunicazione verso di lui? E’ presumibile che non riesca a capire il senso delle parole (è un linguaggio che deve apprendere, completamente sconosciuto), ma è abilissimo a cogliere la parte non verbale, coglie e sente perfettamente quello che sentiamo noi quando ci relazioniamo con lui. In questo è probabilmente più abile di qualsiasi adulto. Per una questione di sopravvivenza siamo programmati per nascere con questa importantissima capacità.


Vi faccio un esempio:


Immaginate di aver partorito da poco il primo figlio, siete a casa da pochi giorni e viene a trovarvi una cugina che non vedete da anni e che non vi è mai stata particolarmente simpatica. Può capitare che mano a mano che si avvicina il momento della visita Mattia, vostro figlio, che fino a poco prima era discretamente tranquillo, cominci ad agitarsi, e che, a differenza di altre volte, i vostri tentativi di tranquillizzarlo non funzionino. Può anche capitare che cominciate a pensare irritandovi: “ma proprio oggi, sembra che me lo fai apposta” e così può succedere che cominciate a girare per casa cullando Mattia sempre più nervosamente nella speranza che si calmi, che vi sforziate di parlargli con tono tranquillo, in modo dolce, ma che nulla funzioni. Poi arriva la cugina e dopo le frasi di circostanza partono quelle di giustificazione del tipo: non capisco, di solito è tranquillo, forse ha mal di pancia o qualche altro malanno, è stanco o ha fame. La cugina finalmente toglie il disturbo e dopo un po’ il vostro bambino si addormenta sfinito.


Che cosa è successo? Mattia si è semplicemente messo in allarme, ha sentito che la mamma e/o il papà non erano tranquilli.


La natura, che lavora bene, ci fa nascere con questa straordinaria capacità, quella di sentire in modo diretto limpido e chiaro cosa sente l’altro, e in particolare l’altro che si occupa di noi. E’ come se i bambini avessero un collegamento diretto, quasi un filo che collega la loro sfera emotiva a quella delle altre persone. Lo ripeto è una competenza straordinaria, che nel corso della crescita, a causa del processo educativo, in buona parte purtroppo perdiamo. Secondo me molti problemi di incomprensione con i neonati e con i bambini piccoli in generale nascono dal fatto che il linguaggio delle emozioni che è il loro canale principale di comunicazione è purtroppo per la maggior parte di noi adulti un linguaggio dimenticato. Siamo poco attenti alla nostra sfera emotiva, non ci conosciamo poi tanto rispetto al nostro mondo emotivo, ovviamente sentiamo le emozioni che viviamo, ma molto spesso non sappiamo da cosa siano originate. E’ un mondo estremamente ricco che conosciamo solo in superficie ed è proprio a causa di questa scarsa consapevolezza che spesso ci sfugge di mano.


Cercherò ora di farvi capire che cosa succede, secondo me, durante la crescita dei bambini rispetto alle considerazioni fin qui riportate:


Crescendo il bambino comincia ad imparare a parlare, impara ad esprimersi a parole e impara a comprendere il senso delle parole espresse dagli altri. Crescendo il linguaggio verbale, come è giusto che sia, diventa sempre più ricco e articolato, ma come ho già detto, per una questione squisitamente culturale, si specializza sempre più nell’espressione del pensiero. Tutta la parte di educazione relativa alla sfera emotiva, come mi sento, cosa provo…tutto questo non viene considerato.


Ecco perché a volte è così difficile relazionarsi con i bambini, ed ecco perché spesso i nostri interventi hanno dei risultati così diversi da quelli attesi: perché ci relazioniamo utilizzando linguaggi diversi e la comunicazione rischia di diventare un grande fraintendimento, ed il prezzo più alto lo paga il bambino.


Come detto prima, un neonato coglie solo il linguaggio emotivo, lui sente se siete nervosi o in ansia e tentare di rassicuralo usando parole dolci e toni pacati non funziona, perché lui legge solo l’emozione. Mano a mano che cresce le cose però cambiano, la situazione si complica un po’. Il linguaggio emotivo rimane ma il bambino diventa sempre più capace di capire e utilizzare il linguaggio verbale. Qui diventa fondamentale la coerenza tra ciò che sento e ciò che esprimo a parole. Se il bambino si trova in relazione con un adulto che ad esempio si sente molto triste o arrabbiato ma a parole (a volte si fa con l’idea di proteggere il bambino) si dice tranquillo e sereno, ecco che il nostro bambino va in confusione: sente una cosa e le parole ne comunicano un’altra. In questo caso due sono gli effetti principali:


  • Primo: il bambino non ha le risorse, la capacità di chiedere spiegazioni (sento una cosa ma tu me ne dici un’altra puoi aiutarmi a capire come stanno le cose realmente? Ovviamente assurdo, neanche da un adulto ci aspettiamo un discorso di questo tipo), non capendo più niente va in confusione e i bimbi manifestano disagio piangendo o esprimendo la rabbia, cioè facendo i capricci.
  • Secondo: comincia ad attivarsi quel processo che porta, purtroppo in breve tempo, a perdere quel bel pezzo di noi. Cominciamo infatti ad abbandonare il contatto con il mondo delle emozioni e ci sbilanciamo sempre più verso lo sviluppo del pensiero e della ragione; con tutte le conseguenze che questo mancato sviluppo di conoscenza e consapevolezza purtroppo comporta in termini sia di benessere personale che di problematiche sociali.

Nasciamo con la capacità di sentire, nasciamo sbilanciati sul sentire, i bimbi sono emozioni che parlano. Il nostro processo educativo ha come obiettivo quello di insegnare ai bambini che cosa sentire, ma così andiamo contro natura, per noi educare è insegnare a manipolare le emozioni perché pensiamo che ci siano emozioni buone e emozioni cattive. E da qui cominciano i problemi. Dobbiamo fare un passo in dietro, il nostro compito come genitori e educatori è semplicemente aiutare i bambini a riconoscere, a dare un nome a ciò che sentono, dobbiamo rassicurarli sul fatto che ciò che sentono non è un problema, che anche le emozioni che fanno stare male poi passano, che noi dobbiamo solo fare spazio e non contrapporci.


 


A proposito di emozioni dove vanno a finire quelle non viste e non ascoltate? Per la risposta vi rimando al post: l’OMBRA  



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