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La guida che accompagna: una breve storiella

2024-11-02 12:30

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“In antitesi con l’opinione comune, e con buona pace dei pedagoghi, non posso attribuire al termine “educazione” alcun significato positivo. In essa intravedo l’autodifesa dell’adulto, la manipolazione dovuta alla propria mancanza di libertà e la propria insicurezza, un’autodifesa che naturalmente posso ben capire ma di cui non posso sottovalutare i pericoli….Nel termine “educazione” è racchiusa l’idea di determinate mete che l’allievo deve raggiungere…e questo riduce fin da principio le sue possibilità di sviluppo autonomo. Ma l’onesta rinuncia a ogni manipolazione e a queste mete preconcette non significa affatto abbandonare il bambino a sé stesso. Egli ha infatti un enorme bisogno di trovare nell’adulto un compagno sia sul piano psichico che su quello fisico” (A. Miller, La persecuzione del bambino)

L’educazione dovrebbe essere un accompagnamento attento, leggero e delicato che ha come obiettivo quello di essere un sostegno e un aiuto nel processo di crescita, che è un processo di conoscenza e scoperta di sé al fine di svilupparsi verso l’autorealizzazione e il benessere (nel senso di stare/sentirsi bene). Benessere legato allo sviluppo, il più possibile armonico e integrato, di tutte le dimensioni che ci caratterizzano.

Non esistono metodi validi in assoluto; la relazione con i figli è costruzione e scoperta costante di noi e di loro attraverso la vita quotidiana, che è fatta di comprensione, vicinanza, distanza, scontri, conflitti che non hanno un punto di arrivo. Può sembrare molto impegnativo e frustrante e sicuramente lo è, in alcun momenti più che in altri, ma vi invito a riflettere sull’aspetto stimolante: è un processo di crescita continua, di scoperta di nuovi aspetti nostri e di chi ci è più caro. Se accettiamo di stare attivamente in questo flusso ecco che accanto alle fatiche e alle frustrazioni troveremo anche energia e carica, stupore e sorpresa, in una parola: vita. La sentiremo noi ma anche i nostri figli.

Proseguiamo e aggiungiamo altri ingredienti: da soli non andiamo da nessuna parte. Per crescere infatti abbiamo bisogno che qualcuno ci prenda per mano. E adesso le cose si fanno interessanti. Ci sono infiniti modi per accompagnare, ognuno di noi ha avuto il suo particolarissimo, fatto di infiniti istanti di relazioni che dal concepimento ci hanno portato via via ad essere come siamo ora, in questo preciso momento e che continueranno a cambiarci fino alla morte e poi chissà… Ora il problema è: va bene qualsiasi accompagnamento? Ci sono delle differenze che dipendono da come si viene accompagnati? È possibile stabilire quale sia un buon accompagnamento?

Ecco una storia……

Immagina di voler fare un’escursione in montagna, non essendo molto esperto ti affidi ad una guida. A questo punto si aprono due scenari:

  • Nel primo la tua guida si chiama Giovanni. Giovanni è molto esperto e capace, vi incontrate una domenica mattina e partite per la vostra escursione. E’ una bella giornata di sole e mentre passeggiate Giovanni ti racconta la storia dei luoghi, si rivolge a te in modo educato e gentile. A un certo punto arrivate ad un passaggio un po’ difficile e impegnativo, tu sei un po’ preoccupato, Giovanni se ne accorge e ti rassicura, dicendoti che in effetti il passaggio non è semplice, ma aggiunge che ce la puoi fare e che lui è lì per aiutarti. Con fatica ed impegno e non senza difficoltà riesci finalmente a raggiungere il tuo obiettivo: il rifugio a 2000 metri. Ti senti carico, soddisfatto e capace; è probabile che avrai voglia di ripetere l’avventura e forse anche di sperimentarne altre più complesse.
  • Nel secondo la tua guida si chiama Giuseppe, è ugualmente esperta del territorio ma ha uno stile differente. E’ una bella giornata di sole, l’appuntamento è alle 8.00 ma sono le 8.20 e Giuseppe ancora non si vede. Quando arriva, sono già le 8.30, si scusa dicendo che ha avuto un imprevisto (e’ stato trattenuto al telefono da un collega). Finalmente partite, Giuseppe ha un passo piuttosto veloce, ti sprona e sollecita ad andare più svelto e tu arranchi a distanza. Quando arrivate al passaggio difficile e impegnativo, alla stanchezza si aggiunge la preoccupazione/frustrazione di non riuscire a superarlo. Chiedi aiuto a Giuseppe il quale ti risponde, un po’ seccato, che ti stai preoccupando per niente, che sono altri i passaggi difficili, che è tardi e bisogna andare. Forse avresti voglia di mandare a quel paese Giuseppe, ma ormai sei arrivato quasi in cima e decidi di proseguire. Finalmente dopo timori paure e difficoltà riesci a raggiungere la tua meta. A questo punto Giuseppe ti dice: “Vedi, avevo ragione, hai brontolato tanto per niente, c’era bisogno di fare tante storie?” Come ti senti? Ovviamente la risposta non è uguale per tutti, ma possiamo ragionevolmente ipotizzare che qualcuno sia irritato, arrabbiato, frustrato e forse deluso. Per alcuni forse sarà l’ultima escursione in montagna, altri riproveranno ma certamente non con Giuseppe come guida.

Possiamo spingerci anche oltre….che idea pensi si siano fatti di te Giuseppe e Giovanni? Che cosa racconteranno agli amici o a casa della giornata trascorsa e della persona che hanno conosciuto?

Questa storiella per dire che ogni tanto, soprattutto quando le reazioni dei nostri figli sono un po’ difficili, è forse bene, prima di prenderli a male parole o partire con i sermoni, chiedersi che tipo di esperienza hanno appena vissuto e se noi (o chi era con loro) siamo stati una guida tipo Giovanni o tipo Giuseppe. Se siamo più vicini al secondo caso forse possiamo concedere loro un po’ di comprensione in più.







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